ALIMENTAZIONE: FALSI MITI E BUFALE – A CURE DELL’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ
Il kamut è un cereale antico
Kamut non è il nome di un cereale, ma un marchio registrato dalla società Kamut International come avviene per altri marchi pubblicitari
La parola Kamut non è il nome di un cereale, ma il marchio commerciale che la società Kamut International ha posto su una varietà di frumento che negli Stati Uniti è stata registrata con la sigla QK-77 e che viene coltivata e venduta in regime di monopolio in tutto il mondo grazie ad una delle più riuscite operazioni di marketing degli ultimi 30 anni. Costa molto, ma si vende anche molto e l’Italia è il primo paese consumatore al mondo di Kamut.
È anche chiamato il “grano del faraone” grazie ad una storia inventata dalla Kamut International che racconta che i semi siano stati ritrovati in una tomba egizia a metà del secolo scorso e spediti nel Montana dove sono stati poi risvegliati e coltivati. Niente di tutto questo. In realtà il cereale che si acquista sotto il nome Kamut è la varietà Khorasan (Triticum turgidum ssp. turanicum), un tipo di frumento descritto per la prima volta in Iran, dove ancora oggi si coltiva. Oggi tutti possono coltivare il grano Khorasan, ma solo l’azienda proprietaria del marchio può vendere questo grano con il nome di Kamut. Una varietà di grano Khorasan, chiamata il Saragolla, la possiamo trovare anche in Italia tra Lucania, Sannio ed Abruzzo e rappresenta una validissima alternativa al grano di marchio Kamut. Un aspetto importante, spesso non molto chiaro, è quello che riguarda i celiaci. Come tutte le tipologie di frumento, il Khorasan a marchio Kamut è sconsigliato nell’alimentazione dei celiaci perché contiene glutine, in alcuni casi anche in misura superiore a quello di altri frumenti.
C’è da dire che il grano Khorasan della Kamut International ha buone proprietà nutrizionali in quanto presenta un elevato contenuto di proteine (14.54g su 100g di prodotto) e una buona percentuale di beta-carotene (5µg su 100g di prodotto) e di selenio (81.5µg su 100g di prodotto). Tuttavia, essendo sempre una varietà di frumento non può essere consigliato a chi soffre di allergie al frumento né a chi soffre di intolleranza al glutine né tanto meno ai celiaci, perché contiene glutine, in alcuni casi anche in misura superiore a quello di altri frumenti. Inoltre, presenta delle problematiche non indifferenti legate al regime di monopolio del marchio, tra cui il prezzo decisamente elevato dovuto ai costi di trasporto, ai diritti di uso e propaganda, e perché considerato un “cibo di lusso” in quanto erroneamente associato a benefici per la salute. Inoltre, pur essendo coltivato seguendo le modalità di agricoltura biologica, la sua ecosostenibilità è piuttosto bassa. È, infatti, coltivato in America e attraversa l’oceano per arrivare fino a noi, non è certamente a chilometro zero e ha, quindi, un forte costo ambientale.
Associazione Italiana Celiachia (AIC)
United States Deaprtment of Agriculture (USDA). USDA Food Composition Databases
Peter R. Shewry. Do ancient types of wheat have health benefits compared with modern bread wheat? Journal of Cereal Science. 2018 Jan; 79: 469-476

Non ci sono prove scientifiche sufficienti per ritenere che le varietà di grano coltivate circa un secolo fa, recentemente reintrodotte in commercio, abbiano proprietà nutrizionali che le rendono preferibili ai grani moderni e che siano adatte ai soggetti celiaci.
Negli ultimi anni sono state reintrodotte sul mercato alcune varietà di grani cosiddetti “antichi”, presentati come più autentici, meno raffinati, più digeribili e meno ricchi di glutine rispetto al grano attualmente coltivato su larga scala. Si tratta di un insieme di varietà del grano, tra cui Tumminia, Saragolla, Senatore Cappelli, Russello, Bidì, Biancolilla, Ardito, Maiorca e Perciasacchi, caratterizzate visivamente dall’avere un fusto più alto rispetto ai grani moderni. Ampiamente coltivate nei primi decenni del secolo scorso, sono successivamente quasi del tutto scomparse in quanto, producendo rese troppo basse, sono risultate poco adatte alle coltivazioni intensive.
La scelta commerciale comprensibile di rinnovare, guardando al passato, il campo della cerealicultura oggi in crisi, ha lasciato spazio alla diffusione di alcuni falsi miti, talvolta utilizzati per giustificare costi di vendita piuttosto alti di questi prodotti.
Non è vero, per esempio, che i grani antichi siano più autentici, in quanto non sottoposti a selezione genetica. Pur non essendo modificati geneticamente in laboratorio, anche i grani antichi, così come quelli moderni, sono stati spesso selezionati mediante incroci ed ibridazioni, spesso a partire da varietà presenti in altri paesi del mediterraneo. È il caso della varietà Jeanh Rhetifah di origine tunisina da cui ebbe origine la famosa varietà Senatore Cappelli, oppure degli incroci del grano “Rieti” con una specie olandese ed una giapponese, per ottenere il più resistente “Ardito”.
Per quanto riguarda la quantità di glutine, non è vero che i grani antichi ne contengano meno di quello moderno, e siano quindi più adatti ai soggetti celiaci. Diversi articoli scientifici hanno studiato la composizione ed il potenziale allergenico del glutine dei grani antichi rispetto a quelli più recenti, ma i risultati ottenuti sono stati contraddittori (1,2). Allo stesso modo, sebbene un limitato numero di ricerche condotte in modelli sperimentali o sull’uomo abbiano rivelato un potenziale effetto benefico dei grani antichi su alcuni parametri cardio-metabolici ed infiammatori (1), la letteratura non è ancora unanime nel riconoscere queste proprietà (1,3). Non è quindi possibile concludere che il consumo dei derivati dai grani antichi possa ridurre il rischio di sviluppare patologie croniche (4).
Infine, viene spesso riportato che i grani antichi, rispetto alle varietà moderne, siano più salubri in quanto non necessitano di diserbanti e concimi oppure sono meno raffinati perché le loro farine vengono macinate a pietra. Le modalità di coltivazione e il tipo di macinazione poco hanno a che fare con le varietà di grano, ma dipendono da scelte aziendali dei produttori. L’offerta dei grani antichi viene spesso proposta da piccoli produttori particolarmente attenti a garantire condizioni ottimali di coltivazione e manipolazione delle materie prime.
Alla luce dei dati attualmente disponibili, non esiste la certezza che i grani antichi debbano essere preferiti a quelli moderni per tutelare la nostra salute. Essi sicuramente rappresentano una importante risorsa per conservare la biodiversità agroalimentare e recuperare le tradizioni culturali del nostro paese.
1. Dinu M, et al. Ancient wheat species and human health: biochemical and clinical implications. The Journal of nutrional biochemistry. 2018; 52: 1–9
2. De Santis MA, et al. Differences in gluten protein composition between old and modern durum wheat genotypes in relation to 20th century breeding in Italy. European Journal of Agronomy. 2017; 87: 19-29
3. Laus MN, et al. Evaluation of Phenolic Antioxidant Capacity in Grains of Modern and Old Durum Wheat Genotypes by the Novel QUENCHERABTS Approach. Plants Foods for Human Nutrition. 2015; 70(2): 207-214
4. Shewry PR, et al. Do ancient types of wheat have health benefits compared with modern bread wheat? Journal of Cereal Science. 2018; 79: 469-476
È una falsa convinzione pensare che bere l’acqua del rubinetto, anche quella ad elevato residuo fisso, vale a dire ricca di sali di calcio e magnesio, possa favorire la formazione di calcoli renali.
La concentrazione di calcio presente nell’acqua potabile di casa non provoca un aumento di calcoli renali.
Il consiglio molto diffuso di utilizzare acque leggere o moderatamente oligominerali in sostituzione dell’acqua del rubinetto per evitare la formazione di calcoli non è giustificato da evidenze scientifiche.
È bene infatti ricordare che la formazione dei calcoli, per lo più costituiti da ossalato di calcio, dipende in molti casi da una predisposizione individuale o familiare, in quanto il rischio è più elevato se ci sono in famiglia altre persone che ne soffrono. In caso di predisposizione è essenziale bere in abbondanza e di frequente nell’arco della giornata senza per questo temere che il carbonato di calcio, presente nell’acqua del rubinetto, possa favorire la formazione di calcoli. È stato dimostrato infatti che anche le acque minerali ricche di calcio sono utili nella prevenzione della calcolosi renale mentre, viceversa, una dieta povera di calcio può aumentare il rischio di sviluppare questa patologia(1, 2).Il calcio è un elemento essenziale per la nostra salute e la sua assunzione non va ridotta a meno che non sia un medico a prescriverlo.
Per prevenire i calcoli renali, invece, ciò che conta di più è la quantità totale di liquidi che si assumono nell’arco della giornata, quantità che dovrà essere adeguata a consentire una corretta diluizione delle urine. Per questo motivo, in presenza di un’abbondante sudorazione come avviene ad esempio nei mesi estivi o in caso di un’intensa attività fisica, la quantità di liquidi da assumere dovrà essere maggiore per compensare i liquidi persi, prevenire la concentrazione delle urine e quindi la formazione di calcoli. La diluizione e l’aumento del flusso dell’urina aiuta certamente a ridurre la formazione dei cristalli di sali, che vengono così più facilmente espulsi prima che le loro dimensioni possano esser tali da creare problemi al loro passaggio nelle le vie urinarie.
Ciò che mangiamo può contribuire anch’esso alla formazione di calcoli. Sono considerati fattori di rischio, in particolare, l’eccessivo consumo di sale (cloruro di sodio) e di proteine animali. Una dieta equilibrata, con poche proteine animali e a ridotto contenuto di sodio ma a normale contenuto di calcio, svolge quindi un ruolo protettivo per l’organismo( 3, 4, 5).
1. Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN). Linee Guida per una Sana Alimentazione Italiana. Cap.5: Bevi ogni giorno acqua in abbondanza. Anno 2003
2. National Kidney Foundation. Kidney Stones
3. Fondazione Umberto Veronesi. Magazine. Fate bene i calcoli renali
4. National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases (NIH). Eating, Diet, and Nutrition for Kidney Stones
5. NHS Choices. Kidney stones
Il rischio di riscontrare livelli di mercurio tali da costituire un pericolo per l’organismo esiste solo per alcune specie di pesce e per alcune categorie di consumatori (1). In Italia, comunque, l’importazione ed il commercio di prodotti di origine animale sono sottoposti a rigidi controlli (2).
Il contenuto di mercurio nel pesce cambia a seconda della specie: i pesci predatori di grossa taglia, come pesce spada e tonno, sono più facilmente contaminati da mercurio rispetto ai pesci più piccoli. Alte concentrazioni di mercurio nell’organismo possono risultare tossiche per il sistema nervoso dei bambini e durante l’età fetale (1). Soprattutto per alcune categorie di consumatori, come bambini, donne in età fertile, donne in gravidanza e durante l’allattamento, l’autorità europea per la sicurezza alimentare (European Food Safety Authority, EFSA) consiglia di consumare pesce 2-3 volte a settimana, variandone le specie e limitando il consumo di quelle che potrebbero avere un maggiore contenuto di metilmercurio, come i grossi predatori (squali, pesce spada, luccio, tonno e nasello) (3). I livelli di mercurio negli alimenti sono stabiliti dal Regolamento CE n. 1881/2006 e rigidi controlli vengono effettuati alla frontiera e durante tutte le fasi che precedono la commercializzazione (2). Il controllo dei prodotti ittici all’importazione viene effettuato presso i Posti di Ispezione Frontaliera del Ministero della Salute mentre, per gli scambi intracomunitari, gli uffici del Ministero dispongono l’esecuzione del controllo a destino da parte delle Aziende Sanitarie Locali-ASL. Nel 2014, sono stati effettuati 11.178 campioni su prodotti ittici e molluschi per la ricerca di metalli pesanti; di questi solo 59 sono risultati irregolari e hanno comportato il ritiro dal mercato (4).
In virtù delle sue proprietà nutritive, è svantaggioso/esagerato eliminare totalmente il pesce dalla propria dieta per il timore di assumere mercurio: il pesce, infatti, è ricco di proteine facilmente digeribili ed è, inoltre, fonte di vitamine del gruppo B, D e A e di acidi grassi omega 3 con benefici effetti sul cuore (5). È importante perciò non privarsene a tavola, ma imparare a consumarlo variando il più possibile le specie e le tipologie di pesce.
1. European Commission. Information note
2. Ministero della Salute. Scambi e importazioni di alimenti di origine animale
3. Ministero della Salute. Pesce: consumo consapevole, benefici nutrizionali
4. Ministero della Salute. Direzione generale per l’igiene e la sicurezza degli alimenti. Vigilanza e controllo degli alimenti e delle bevande in Italia
5. Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA). L’EFSA valuta la sicurezza degli acidi grassi omega-3 a catena lunga
Due sono i fattori scientificamente provati che causano la celiachia: la predisposizione genetica e l’assunzione di glutine. Da più di 12 mila anni l’uomo si nutre di frumento, ma il recente incremento delle diagnosi di celiachia ha aumentato l’interesse e lo studio su questa malattia legata all’assunzione di glutine sia biologico che non.
Il glutine è un veleno? Si deve sospettare del grano geneticamente modificato? Sono i pesticidi utilizzati nei campi di grano a scatenare la malattia?
La celiachia è una malattia che si sviluppa in seguito alla combinazione di due fattori: il glutine e la predisposizione genetica. Solo il 30% della popolazione mondiale geneticamente predisposta e che consuma glutine sviluppa questa malattia nel corso della vita. Esistono, infatti, dei fattori scatenanti di cui, al momento, non si conosce la natura (1). Si può manifestare a qualunque età; nel bambino i disturbi causati dalla celiachia (sintomi) si presentano nel periodo in cui avviene lo svezzamento quando inizia a mangiare alimenti che contengono glutine.
Non esiste alcuna prova scientifica né alcuna statistica che dimostri che mangiare grano trattato con i pesticidi possa favorire lo sviluppo di questa malattia.
1. EpiCentro (ISS). Celiachia
I prodotti del contadino sono più sicuri e genuini degli altri
I controlli che vengono effettuati lungo tutta la filiera alimentare, dai campi alla tavola, garantiscono che i prodotti commercializzati negli esercizi autorizzati alla vendita siano sicuri per la salute.
Additivi, coloranti e procedimenti industriali sono normati da Regolamenti europei atti a non far arrivare sulla nostra tavola prodotti nocivi per la salute.
Ad esempio, per quanto riguarda i prodotti di origine vegetale, al momento della messa in commercio essi non devono contenere livelli di fitosanitari (come pesticidi e antiparassitari) superiori ai limiti massimi consentiti dalla legge (1). Per garantire ciò, Carabinieri, Aziende Sanitarie Locali-ASL e Corpo Forestale dello Stato, sotto il coordinamento della Direzione Generale per l’Igiene e la Sicurezza degli Alimenti e la Nutrizione del Ministero della Salute, effettuano numerosi controlli: nel corso del 2012 sono state effettuate analisi su 5.934 campioni di prodotti ortofrutticoli (2). I prelievi vengono effettuati in centri di raccolta aziendale e cooperativi, mercati generali specializzati e non, depositi all’ingrosso, ipermercati e supermercati (3).
Questo sistema di controllo garantisce, per i prodotti che vengono acquistati negli esercizi regolarmente autorizzati (come supermercati, negozi alimentari e mercati specializzati e non), un elevato livello di qualità e di sicurezza per il consumatore.
1. Ministero della Salute. Residui prodotti fitosanitari in alimenti di origine vegetale
2. Ministero della Salute. Controllo ufficiale sui residui di prodotti fitosanitari sugli alimenti
3. Ministero della Salute. Piano di controllo ufficiale
Fonte: Istituto Superiore di Sanità